Il sogno di Jennifer fa breccia nel pubblico romano

14 Novembre 2023

Quale insegnamento ci trasmette, Jennifer? Che sognare si può, anzi si deve. E che la realtà, la vita, può anche resituire risposte differenti rispetto ai palpiti, alle aspettative. Risposte inattese o forse anche già scritte, sin dall’inizio. Ma l’amore spesso è cieco. Ma se è Amore, ne ha diritto, ed è sogno, attesa, i colori e l’odore di cinque rose rosse. Campeggiano, dentro vasi di vetro, sopra un tavolino, poggiato a sua volta sul palcoscenico di un teatro. Ci troviamo a Teatrosophia, tra i vicoli del centro di Roma, ed è qui che dal 9 al 12 novembre è andato in scena “Jennifer – Il Sogno”, spettacolo tratto da “Le cinque rose di Jennifer”. Firma del compianto Annibale Ruccello, che ci ha privato del suo genio troppo, troppo presto. Una drammaturgia ancora attualissima e profonda, anche dopo 28 anni dalla sua stesura. Oggetto di tesi universitarie, in Italia e in Europa, e per l’occasione proposta nella Capitale da Antonello De Rosa. Regista della pièce e anche attore protagonista, nei panni di Jennifer. Femminiello in un quartiere popolare di Napoli, siamo negli anni ’80 e un telefono a filo rappresenta il ponte di questa “creatura” innamorata con il mondo e soprattutto l’uomo di cui è follemente innamorato. Si chiama Franco, è un ingegnere di Genova, e da tanto tempo non si fa più sentire. In diffusione, le radio locali narrano gli omicidi portati a termine contro persone trans da un famigerato serial killer.

De Rosa è attore vero, interprete capace di alternare registro ironico e drammatico con grande verve e intensamente napoligno. Recita senza guardare mai in platea, ed è abilissimo anche nei frangenti in cui comunica di spalle. Dietro a lui, a intermittenza, prende forma la sua coscienza, nelle sembianze elegantissime di Marianna Avallone. Una musa fiamminga cui fa da contrasto la verace Margherita Rago, amica e vicina di casa di Jennifer. Tra le due, per un momento, sembra scoccare persino la scintilla della passione, ma è fuoco vacuo.
Colpiscono, per l’efficacia e la cura del dettaglio, il disegno luci e le posizioni scelte per gli attori nella mise en scene.

Sospesa tra le sue identità, quella maschile e quella femminile, non senza strappi improvvisi, Jennifer trasferisce al pubblico un ampio spettro di sentimenti, dall’angoscia alla solitudine, dal desiderio al delirio. Le telefonate si susseguono, consolano e divertono, ma non portano mai a Franco.
E, forse, l’esito di questa storia d’amore vera o presunta è segnato.

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