di Emiliano Metalli
Il Teatro Off Off è per Roma una sorta di scatola magica, da cui fanno capolino spesso produzioni e artisti che sarebbe un delitto perdere. Non solo per la possibilità di assistere a un genere di spettacolo che non sempre la capitale accoglie, ma per la fortuna di partecipare ad un evento della collettività.
È questo il caso di evǝ, riflessǝ in Andrea Adriatico: un monologo di Jo Clifford, tradotto da Stefano Casi, che Teatri di Vita declina e moltiplica – come pani e pesci, per restare in tema religioso – amplificando il significato originario di sovrapposizione fra scrittura e biografia.
Adriatico e Casi aumentano il numero dei performer rappresentando una pluralità di voci che, a loro volta, si appropriano delle differenti linee narrative e temporali di Clifford e le trasformano, interpolando ulteriori informazioni biografiche, come a voler creare una rete. Un sistema che, strategicamente, avvolge in platea le signore, i signori o tutto quel che c’è nel mezzo per rendere ogni partecipante al rito teatrale parte attiva e mezzo, oltreché oggetto, di riflessione.
E riescono nell’intento pur avendo posto i sei performer all’interno di cilindri di plexiglass, isolamento spaziale più che visivo che ha la capacità di trasmettere una claustrofobia invisibile, ma percepibile. Se poi siano canne di un organo religiosamente dissacrante o provette di un distopico esperimento genetico, teche di santi o spazi da show erotico non è un dato chiaro.
Siamo in un luogo altro: luogo della mente, luogo mitico, luogo non luogo. Specchio di un tempo altro, a sua volta. Forse tempo queer, come suggeriscono alcuni critici alla prima apparizione del testo qualche anno fa al Fringe Festival di Edimburgo.
Ad ogni modo i canonici (e binari) elementi di analisi dello spettacolo non aiutano. Se tempo e spazio non costituiscono dati reali, quel che conta è il ragionamento e, conseguentemente, il racconto. È la parola al centro di questa lunga riflessione sull’identità e sui rapporti con la storia personale e umana. La religione è alla base di questa riflessione, con la chiamata in causa di Dio (in tutte le sue identità) e, a seguire, di Adamo ed Eva, ma soprattutto di Lilith, emblema della femminilità rinnegata. Rinnegata dagli uomini spaventati di cui Adamo è capostipite e da Dio stesso, che nasconde segreti al limite fra ironia e dramma.
Sebbene il contenuto di Clifford e le interpolazioni operate da Adriatico e Casi guardino a qualcosa di profondamente personale, lo spettacolo rimanda a dibattiti più ampi sulle identità (trans e non solo), ma soprattutto sulla dissoluzione di vecchi schemi, certamente binari e assoluti. Schemi che oggi appaiono più in crisi che mai eppure ancora hanno il potere di imprigionare, colpire e uccidere, più o meno metaforicamente, ogni singolo individuo.
In questo terreno di confronto, in questo intreccio narrativo complesso eppure lineare, pur nella sua trama fitta di sovrapposizioni, spiccano due gruppi separati che incarnano da un lato l’elemento speculativo e analitico, dall’altro quello più sfacciatamente biografico.
Eva Robin’s, Patrizia Bernardi e Rose Freeman costituiscono il primo, Anas Arqawi, Met Decay e Saverio Peschechera il secondo. Le singole personalità brillano e si perdono nel grande spazio di un unico fluire comune in cui persino la lingua cambia senza soluzione di continuità.
In questo contesto non ha senso stabilire una graduatoria di abilità performativa, sebbene sia indubbiamente Rose Freeman ad arrivare dritta alla platea, grazie a una ritmica e a una gestualità più smaccatamente comprensibili, frutto probabilmente di un differente sostrato artistico.
La parte restante di questo unico personaggio scenico è più uniforme, più simile: forse per lingua, forse per esperienza, forse per ideale drammaturgico. Certo, la scaltrezza comunicativa di Patrizia Bernardi e l’iconicità mimica e vocale di Eva Robin’s si vedono e si apprezzano molto, ma hanno il pregio di manifestarsi in funzione del gruppo e non per narcisistica affermazione.
Siamo gratǝ a Teatri di Vita, a Adriatico, a Casi, a Clifford e a tutto il cast per questo impegno che conferma una idea di teatro nella società – come mezzo di approfondimento e analisi civile, etica e sociale – e non per la società – come un mero prodotto commerciale.
Teatro Off Off
TEATRI DI VITA
presenta
evǝ
riflessǝ in Andrea Adriatico
di Jo Clifford, traduzione di Stefano Casi
con Eva Robin’s, Patrizia Bernardi, Rose Freeman
e Anas Arqawi, Met Decay, Saverio Peschechera
scene e costumi di Andrea Barberini e Giovanni Santecchia
cura di Saverio Peschechera, Malgorzata Orkiszewska
visual Filippo Partesotti
tecnica Lorenzo Fedi con Anna Chiara Capialbi
produzione Teatri di Vita
con il sostegno di Comune di Bologna, Regione Emilia-Romagna, Ministero della Cultura
in accordo con Arcadia & Ricono ltd
per gentile concessione di Alan Brodie representation limited