Realizzare uno spettacolo teatrale basato su fatti realmente accaduti e interpretato solo da un’attrice giovanissima, Annalisa Cervera, è un’impresa folle, nonché complicatissima. Ma andiamo con ordine: Malala è andato in scena presso il Teatro Lo Spazio di Roma e racconta la storia di Malala Yousafzai, la più giovane vincitrice del Premio Nobel per la pace.
Si passa quindi dal tragico episodio dell’attentato subito nel 2012 nella valle dello Swat, in Pakistan, fino a quando è diventata un simbolo universale di coraggio. Malala, infatti, continua a lottare duramente per l’affermazione dei diritti civili e per il diritto all’istruzione – bandito da un decreto dei talebani pakistani – delle donne della città di Mingora, nella valle dello Swat. Lo show prodotto da Senza Confine Teatro e con la regia e l’adattamento di Teresa Cecere e Davide Marzi ha riscontrato un notevole successo al contest di corti teatrali Idee nello spazio.
Purtroppo Malala risulta troppo scolastico e poco incisivo per la sua monotonia. A conti fatti vedere questo spettacolo o leggere direttamente un romanzo è la stessa identica cosa e, quando questo succede, qualcosa non funziona. L’arte e la letteratura possono essere interscambiabili fino a un certo punto, qua però quel punto è stato sorpassato. La storia, tra l’altro, è divisa per capitoli, ma l’una è tale e quale all’altra, portando lo spettacolo a non avere la benché minima sorpresa in corso d’opera.
La povera – perché sì, dare un ruolo e un compito del genere a una ragazzina che deve portare 60 minuti di spettacolo sulle spalle e per di più senza pause è inconcepibile – Annalisa Cervera ci ha messo tantissimo impegno e di questo bisogna darle atto, ma ahimè anche lei sembrava fin dall’inizio stremata dal lavoro faticosissimo che avrebbe dovuto compiere, un po’ come se fosse la penultima serata di una lunga tournée.
È vero che Malala Yousafzai è del ’97 ma le soluzioni non erano irrisolvibili: bastava far interpretare Malala a più attrici, o mettere più attori che dialogassero con la protagonista interpretata sempre da Cervera, o magari ridurre il minutaggio direttamente se l’attrice doveva essere per forza solo una. Il problema comunque è anche la monotonia delle battute che vengono portate avanti da una vocalità che procede a cantilena, non agevolando così l’attenzione del pubblico. La stessa voce non era del tutto incisiva, o meglio, era più adatta per un lavoro di doppiaggio (tutte battute molto soffiate) piuttosto che per un palcoscenico teatrale.
Affidare tutto l’esito di uno show con una storia così forte a un’attrice con poca esperienza è un gioco che non vale la candela, soprattutto se lo spettacolo stesso ha lacune dal punto di vista registico. In conclusione, la storia di Malala non è da sottovalutare, ma è più invitante se trasposta in un libro piuttosto che su un palcoscenico composto solo da una ragazza e da un paio di oggetti.