Gender Games: costruire una nuova visione del mondo

21 Maggio 2024

di E. Metalli

Assistere a Gender Games senza il momento fondamentale di riflessione e incontro con il pubblico alla conclusione dello spettacolo rischia di far perdere molti dati importanti e informazioni cruciali per la sua comprensione.

Gender Games è innanzitutto una riflessione e una autodichiarazione attraverso un atto performativo trasversale e costantemente mutevole.

I linguaggi si fondono per proporre situazioni episodiche non strettamente determinate, fluide nel contenuto come nella forma: aspetto interessante è questo modo in cui l’approccio creativo si adatta al tema del genere/dei generi, moltiplicandosi e irraggiandosi verso situazioni e universi spesso distanti, in ogni caso inaspettati. Suggestioni musicali barocche, ma costruite secondo i principi della musica elettronica, citazioni della drammaturgia brechtiana o spezzoni del cinema tedesco si susseguono, alternandosi a brani immortali della musica jazz-blues, simbolo di una protesta combattente per affermare la propria identità. E i fili di questa tela musicale si intrecciano a quelli di figure mitologiche come Tiresia – simbolo di una scelta del femminino sacro – Calipso o Circe, fino a Penelope. Figure incastonate da monologhi brevi, ma chiari, dritti al punto.

E poi corpi. Corpi in tutte le loro forme. Corpi flessuosi di dive o parcellizzati, oggettivati dal desiderio. Corpi eleganti o scordinati. Corpi divini e umani. Corpi definiti e indefiniti. Corpi in movimento, immersi in un danza sacra o ironicamente tale. Corpi digitalizzati, sfumati, sintetizzati, scansionati, destrutturati, universalizzati: il tutto grazie al parallelo scorrere delle immagini sullo sfondo del palco. Un video, costante e ossessivo, che sottolinea – e forse unisce – le differenti stasi dello spettacolo.

Frutto dei peculiari percorsi artistici delle due interpreti, il palco diviene così un punto di incontro fisico, artistico e filosofico. H.E.R. mette in campo tutti i talenti di polistrumentista e di interprete canora, arrivando a proporre delle incredibili versioni di brani noti – come Falling in love again – ma ricontestualizzate in arrangiamenti estremi e affascinanti. Innesta vocalità antiche su fondali armonici alla Philip Glass e utilizza il violino come una sorta di strumento di protesta, con la stessa dirompenza della sua attitudine scenica.

Dal canto suo Margò si divide con maggiore equilibrio fra le arti, eccellendo soprattutto nella stilizzata gestualità, in bilico fra danza e teatro di figura, e nella parola che si colora di tutte le emozioni a sua disposizione. A volte denudandosi con una tenerezza sconvolgente, quando, probabilmente, biografia e tecnica trovano un punto di contatto.

Le due performer, simili a divinità ancestrali, paiono invocare e materializzare in scena un centro attorno a cui costruire una nuova visione del mondo, ma anche un’agorà nella quale includere il pubblico per dare il via a un confronto civile attorno a un tema – da sempre decisivo, oggi più urgente che mai: quello della libera autodeterminazione, della scelta della propria identità.

In questo caso specifico al centro della ricerca creativa, come è espressamente dichiarato, c’è un genere – quello femminile – scelto e non ricevuto dalla natura, per questo faticosamente indagato, ricercato e ritrovato, con tutto quello che questo percorso trascina con sé.

L’organizzazione dei singoli episodi, di per sé intensi e profondamente incisivi, manca di un chiaro filo conduttore che è però esplicitato nel dialogo conclusivo. In quel momento intimo si condividono reazioni e osservazioni in un clima di ironia simpatica e rilassata e quanto visto in palco prende una piega differente. È un gioco, sì, ma fatto con l’intento di mostrare quanto sia complessa e delicata la strada che le identità individuali intraprendono ogni giorno.

Teatro biblioteca Quarticciolo

Ondadurto Teatro

GENDER GAMES

Di Ondadurto Teatro

con Margò Paciotti e H.E.R.

regia Lorenzo Pasquali

Lascia un commento

Your email address will not be published.

Non perdere