Ferdinando di Annibale Ruccello: un classico della contemporaneità nella regia di Arturo Cirillo

6 Novembre 2023

recensione di Emiliano Metalli

Fa tappa al Teatro Parioli di Roma un nuovo allestimento, coprodotto da Marche Teatro, Metastasio di Prato e Bellini di Napoli, di Ferdinando, opera sublime di Annibale Ruccello per la regia di Arturo Cirillo, che ben conosce la scrittura e la complessità del drammaturgo napoletano e sa trasformare entrambe in un’epifania difficile da dimenticare.

Se non si conosce Ruccello – classe 1956, prematuramente scomparso nel 1986 – vale la pena recuperare*. Non solo perché in pochi anni ha dato prova di una scrittura e una conoscenza antropologica e sociale di rara raffinatezza, ma perché ha saputo impiegarle in quella fase delicata di passaggio del teatro napoletano dal mondo eduardiano alla sfaccettata produzione post-eduardiana che ha regalato all’Italia esiti artistici indimenticabili non solo in teatro.

Come Eduardo, anche Ruccello è drammaturgo, regista e attore del suo teatro, e riuscire a infondere creatività originale ai suoi testi non può prescindere da un confronto diretto – spesso audiovisivo oltreché mnemonico – con la sua opera. Si pone, quindi, per un regista il terribile dilemma fra tradizione e innovazione, fra aspettativa del pubblico e desiderio di scoprire e portare alla luce i significati più nascosti, allineandoli con realtà differenti ed esigenze inaspettate della società. Per Ferdinando, poi, il compito è ancora più arduo. Oltre all’autore – che aveva scelto per sé la parte di Don Catello così come Cirillo – soprattutto la presenza costante e determinata di Isa Danieli – storica Donna Clotilde – è un elemento di imprescindibile confronto con le nuove generazioni.

Nonostante queste premesse la soluzione che Arturo Cirillo ha proposto è davvero meritevole di molte lodi. Non ha cancellato la tradizione, la Storia come iconografia, ben “visibile” nella scenografia malinconica di Dario Gessati e nei severi costumi di Gianluca Falaschi. Il grande arazzo-tappeto rosso sangue, il letto matronale, il lampadario d’antan che si illumina degli entusiasmi di quelle quattro anime dannate, unico bagliore della stanza buia e asfittica da cui pure si intravedono agli angoli altri luoghi, altre stanze, parimenti buie e asfittiche: ecco gli elementi della tradizione. Il costume segna la soglia di passaggio: dalle linee ottocentesche si passa alla lingerie sexy e infine alla nudità. Il corpo mostrato non come scandalistica voluttà, bensì parallelistico scavo dell’anima. Oltre questa soglia, appunto, Cirillo dà vita ai personaggi che “vestono” l’abito antico, illuminati – da Paolo Manti – di taglio o dall’alto per metterne in evidenza ogni spigolo acuminato, ma allo stesso tempo animano passioni eterne: il desiderio, il possesso, l’appagamento, la rapacità, la menzogna, lo scambio continuo di ruoli sociali e sessuali, in una sfrenata cavalcata verso l’abisso.

Sabrina Scuccimarra propone una Baronessa sopra le righe, eccessiva e rumorosa in tutte le sue manifestazioni, a tratti comica e irriverente, ma è solo una illusione, una delle immagini allo specchio. Quando le pulsazioni erotiche la stimolano, diviene crudele, tellurica, perfida. La sua espressività si concentra nella voce dalle mille sfumature e nel viso su cui trascorrono i pensieri in brevi, impercettibili e sfumate espressioni, perché del suo corpo si vede poco, se non per necessità.

Anna Rita Vitolo fa della sua Gesualda una creatura a metà fra Filumena Marturano e Lady Macbeth: disperata, annichilita a tratti, ma sempre per convenienza, mai per reale stato d’animo. È lei, in fondo, che arriva a macchinare il finale più truce per il suo ex amante, salvando il buon nome della casata e l’equilibrio, stabilmente precario, di un ménage à trois che non ammette un quarto (uomo!). Non tanto per forma, ma per sostanza: tutti vogliono possedere Ferdinando per sé e la cessione, se c’è, deve avere il suo giustificato motivo d’essere. Nel caso della Baronessa, il cui rapporto ricorda da vicino quello delle Serve di Genet, la concessione è possibile.

Riccardo Ciccarelli ha fisico ed esperienza adatti al personaggio di Ferdinando, di cui sa gestire bene – anche se con qualche asperità in più rispetto agli altri – le due metà di questo arrampicatore sociale: angelico lucifero che mette in scacco la vecchia Baronessa sfruttandone, senza troppi scrupoli, gli appetiti sessuali. E oltre a lei froda anche tutti gli abitanti della casa attraverso la merce più a buon mercato: il corpo e la giovinezza, impiegati senza mezzi termini, ma pure senza voluttà, compiacimento del piacere, bensì calcolo e mente. Il suo scopo, apertamente dichiarato, resta infatti il possesso economico dei beni, lo stesso per cui, almeno apparentemente, gli altri restano attorno a Clotilde. Ma i legami di sangue, che pure Gesualda e Catello sembrerebbero avere con la donna, impediscono loro di uscire dagli schemi “tradizionali” dei rapporti conflittuali di ogni famiglia – allargata o ristretta che sia. Solo l’estraneo, di storia, di sangue e di ideali, può giungere all’estremo, inaspettato raggiro.

Su Arturo Cirillo, interprete di sottile raffinatezza, misurato e mai oltre il limite di una ironica e beffarda comicità che spesso sfocia in una altrettanto cinica tragedia, si può indagare molto. Il suo don Catellino è volutamente giocato in una zona grigia, mediocre e mentitore, che assurge a vittima splendente di innocenza – forse per la purezza di principio del suo amore verso Ferdinando – anche grazie alla costruzione metateatrale della sacra rappresentazione. Il gesto plastico che suggerisce una scena pittorica è l’apice della costruzione drammatica della sua regia che riconduce, poi, in sordina e con un senso di ineluttabilità, alla situazione statica dell’inizio: un cerchio, perfetto e nitido, che si chiude. Eternamente.

Teatro Parioli

FERDINANDO

di Annibale Ruccello

Con Arturo Cirillo, Sabrina Scuccimarra, Anna Rita Vitolo, Riccardo Ciccarelli

regia Arturo Cirillo

scene Dario Gessati

costumi Gianluca Falaschi

musiche Francesco De Melis

luci Paolo Manti

regista collaboratore Roberto Capasso

assistente alla regia Luciano Dell’Aglio

produzione MARCHE TEATRO, Teatro Metastasio di Prato, Fondazione Teatro di Napoli – Teatro Bellini

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