”Il Condor”, a teatro la parabola del ciclista gregario

25 Febbraio 2024

Una vita da gregario. Che poi è la metafora dell’esistenza dei loser, di coloro che sacrificano un’intera vita e tonnellate di energie per gli obiettivi di qualcun altro. Come per esempio il capitano di una squadra di ciclismo. “Il Condor”, in scena fino a quest’oggi domenica 25 febbraio al Teatro Belli di Roma, per la rassegna Expo dedicata al Teatro italiano contemporaneo, é uno spettacolo sul ciclismo, sport di fatica per eccellenza, e sullo spirito di sacrificio di quei ciclisti che dedicano anima e corpo per la squadra. Ovvero la pletora dei più, di coloro che – come evidenzia il testo convincente di Gianni Clementi – trascorrono la carriera a tirare volate e poi lasciare spazio al velocista, oppure a osservare i “culi” degli altri, di chi in gara sta sempre davanti, spesso anzi quasi sempre per ordini di scuderia. Di un capo, il direttore sportivo.

E così, il romagnolo di Gambettola Camillo Grassi restituisce sul palcoscenico con genuinità e tensione emotiva il racconto di quando pedalava su e giù per le strade. Professione gregario, appunto, di quelli che in carriera non alzano mai una volta le braccia al cielo. Mai una vittoria, fino a che si trova l’escamotage, il doping, ed improvvisamente si comincia a volare, non si sente più la fatica. Il patacca diventa imprendibile, si fa condor, si ribella alle gerarchie del team. Davanti a sé finalmente vede la luce, ma è una gioia effimera, la tragedia è dietro l’angolo, e fa ancora più male perché ha un bersaglio inatteso.

Grassi propone un carattere di sportivo umile ed operaio, relegato ai margini dai trionfi della vita, anche sentimentali. Si mostra in costumi da bottega, semplici e lisi, ed anche i modi di fare sono caserecci. Grassi, potente ed efficace, recita in un dialetto dai toni agro-dolci e ironici, esempio della ricchezza e del colore che possono trasferire a teatro le peculiarità dei territori. Un’Italia che contiene mille e più Italie, plauso per la scelta di drammaturgia, sormontata dalla regia di Massimo Venturiello che sfrutta appieno gli spazi del palcoscenico. Di forte impatto la presenza della bicicletta, che amplifica la dimensione immaginifica del racconto. Il pubblico gradisce e parecchio.

In questo spettacolo non v’é happy ending, solo la presa di coscienza che tante volte i destini dei nostri percorsi non si possono più di tanto forzare. Gregari a volte si nasce e a volte si rimane per sempre. La vera vittoria, forse, è accettarlo e trarne il meglio per la propria vita.

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